(Parte 1°) "Il censimento del 1921"
L’8 febbraio del 1922, aprendo i lavori della prima seduta dell’anno del Consiglio comunale, il sindaco di Frosinone Pietro Gizzi comunicò all’assemblea i risultati cittadini del VI Censimento generale della popolazione italiana che si era tenuto il 1° dicembre 1921 non mancando, tra l’altro, di ringraziare i dipendenti comunali “per il gravoso e complesso lavoro”.
I dati ufficiali di quel rilevamento avevano fissato il numero degli abitanti di Frosinone in 13.380 a fronte dei 12.716 del precedente censimento del 1911 facendo registrare così, nonostante l’elevato numero di decessi causati dalla guerra mondiale e dall’epidemia della febbre “spagnola”, un aumento della popolazione cittadina del 9,3 per cento. Dei 13.380 frusinati “residenti” gli effettivamente “presenti” risultarono 12.815 di cui 5.885 dimoranti nel centro urbano, 807 nei pressi della Stazione ferroviaria e i rimanenti 6.123 in case sparse nelle campagne.
Nei 43 comuni del circondario di Frosinone, dove erano stati censiti 211.281 “presenti” a fronte dei 194.346 del 1911, con un aumento dell’8,7 per cento, era stato rilevato che di quella popolazione non sapeva leggere e scrivere il 57 per cento (48% maschi - 65% femmine), comunque in diminuzione rispetto al 64 per cento (maschi 54% - femmine 73%) del 1911 mentre, a livello nazionale, gli analfabeti erano il 35,80 per cento (maschi 33,40% - femmine 38,30%), cioè oltre 20 punti in meno del dato frusinate!
A sua volta le statistiche riportate dal “Bollettino Ufficiale del Lavoro” del 1923 rimarcarono, tra l’altro, che a Frosinone come in tutta Italia, dalla fine del 1921 e per tutto il 1922, era tornata ad aggravarsi la situazione occupazionale con un forte aumento del numero dei senza lavoro in particolare nell’agricoltura, nell’edilizia stradale e idraulica, nei servizi e negli uffici pubblici e privati. Insieme alla fortissima disoccupazione il carovita continuava a colpire anche la maggior parte dei “fortunati” che godevano di uno stipendio come i dipendenti statali e quelli comunali o di un salario come i lavoratori del settore privato le cui condizioni di diffusa indigenza erano di poco alleviate dai calmieri dei prezzi introdotti dal Comune all’indomani della guerra mondiale. Ad aggravare ulteriormente le condizioni del mondo del lavoro intervennero le maggiori restrizioni alla valvola di sfogo dell’emigrazione verso l’estero che determinarono il crollo delle partenze verso la Germania, la Svizzera e altri paesi europei e anche verso gli Stati Uniti d’America, l’Argentina e il Brasile.
Nel 1921, come si era già rilevato nei censimenti del 1901 e del 1911, la stragrande maggioranza dei frusinati risultava essere addetta all’agricoltura raggiungendo una percentuale intorno all’80 per cento mentre a livello nazionale la stessa era ferma al 55,7 per cento. I contadini frusinati, ai quali durante la Grande guerra era stata promessa l’assegnazione dei terreni degli agrari assenteisti o latifondisti, a fronte del mancato rispetto di quegli impegni, avevano occupato e iniziato a lavorare, sin dall’autunno del 1919, le terre dei ceccanesi Berardi e Antonelli a Selva dei Muli e a Tecchiena e altre nella zona dei Quarti, tutte appartenenti alle famiglie di Frosinone “più notevoli per censo” come i De Matthaeis, Cagiano De Azevedo, Napoli, Grappelli, Scifelli, Iannini ecc. I lavoratori della terra di Frosinone che si erano organizzati sin dal 1912 nella Lega dei contadini, venivano ora cacciati dalle terre che avevano conquistato con le lotte del “Biennio rosso” dalle prime squadre fasciste finanziate dagli stessi agrari e fatti oggetto, sempre più spesso, della repressione poliziesca e giudiziaria e costretti, gran parte di essi, a riprendere le migrazioni stagionali verso l’Agro romano e le Paludi pontine.
Sempre nel corso del 1922, nel territorio cittadino, erano ancora quasi del tutto assenti le attività di tipo industriale. Un certo sviluppo rispetto all’inizio del secolo si era avuto solo nel campo dei laterizi con l’inizio dell’attività produttiva di due grosse società, la “S.A.I.L.A”., nei pressi del bivio di Ceccano, e la “Anonima Fornaci” in Via Valle Fioretta che erano arrivate ad occupare centinaia di addetti mentre continuavano ad essere attive le cosiddette “fornacette” a conduzione familiare nella zona di Colle Timio di proprietà di Giuseppe Marchegiani, Luigi Spaziani, Liberatore Tarquini e altri. Un certo numero di lavoratori era attivo nel campo delle costruzioni in cui operavano diverse imprese edilizie, anche appaltatrici dei lavori murari del Comune, i cui titolari erano, tra gli altri, Tullio Bommattei, Francesco Stagni e Aristodemo Vona assieme ai suoi fratelli.
Notevole era l’attività dei numerosi mulini idraulici per olio e grano che da alcuni secoli erano in funzione lungo il corso del fiume Cosa dei quali erano proprietari gli eredi di Filippo Berardi e di Loreto Diamanti insieme a Giulio Lattanzi, Camillo Minotti, Ludovico Papetti, Arcangelo Spaziani Brunella e Luigi Spaziani Testa. Quei mulini rifornivano i panifici e pastifici di Giuseppe Angelilli, Adele Colucci, Rocco Magni, Giuseppe Pafetti e altri.
Un certo sviluppo aveva raggiunto la produzione di liquori e acque gassose nei laboratori di proprietà di Carlo e Luigi Spaziani, Giuseppina Orlandi, Ruggero Fontana e Ettore Tinelli assieme alla “Società Amaro Bellator” del farmacista Gabriele Gabrielli, tutti in attività sin dall’inizio del secolo. Alcune di quelle distillerie e una fabbrica della “Società Anonima Saponi”, di proprietà di Giulio Lattanzi, sorgevano nei pressi dell’Osteria De Matthaeis dove, proprio negli anni del primo dopoguerra si andava delineando il futuro sviluppo commerciale della città.
Nel 1922 la vita politica, sociale e amministrativa di Frosinone continuava a svolgersi intorno alla centralissima Piazza della Libertà dove, al primo piano del Palazzo Berardi, era la sede municipale nei locali al primo piano acquistati all’inizio dell’anno precedente anche se essi mostravano ancora i danni del terremoto del 1915 ed erano in attesa dei lavori di consolidamento. Al piano terra dello stesso palazzo erano collocati l’Ufficio telegrafico e telefonico, alcuni negozi e il centralissimo Bar “Paolino” di Paolo Spaziani. Nell’attiguo maestoso edificio, già sede per secoli della Delegazione apostolica, erano ospitati, assieme alla Sottoprefettura, il Tribunale civile e penale, la Corte d’Assise, la Conservatoria delle ipoteche, l’Agenzia delle Imposte e l’Ufficio del Registro mentre tutta l’ala nord era occupata dalle Carceri circondariali.
Lungo la Via del Plebiscito, la più importante delle strade cittadine, all’inizio della quale era la Caserma dei Reali Carabinieri, si incontravano tutte le sedi cittadine delle assicurazioni e delle banche a partire dagli uffici centrali della Banca Frusinate e, poi, le succursali del Banco di Roma, della Società Generale di Credito, della Banca Italiana di Credito, della Banca Commerciale Agricola di Veroli e la Cassa Rurale di Prestiti “San Silverio”.
Sulla stessa via si trovavano i palazzi seicenteschi della piccola nobiltà locale e la maggior parte degli studi professionali (avvocati e procuratori, notai, medici, agronomi ecc.), i migliori caffè, ristoranti, negozi e l’albergo più importante della città, l’Hotel Garibaldi, mentre proprio all’inizio della vicina Via Rattazzi erano gli uffici delle Regie Poste. Subito dopo ci si trovava davanti alla Cattedrale e al Serbatoio artistico dell’acqua potabile e, riprendendo la Via del Plebiscito, al numero 22, si incontrava la sede della Cooperativa di consumo, della Lega dei contadini e della Camera del Lavoro che, alla fine del 1921, era arrivata a contare 1.106 iscritti. Negli stessi ampi locali di proprietà comunale, ricavati dall’antico convento di S. Francesco, erano ospitate e convivevano, nonostante le vivaci polemiche, anche la sezione del Partito socialista e quella del Partito comunista con il suo circolo giovanile.
A poca distanza era attiva l’unica tipografia cittadina, la “Soc. Claudio Stracca”, con i suoi 60 dipendenti, uomini e donne, che, oltre a lavorare per le esigenze dei frusinati, serviva anche gran parte dei comuni del circondario e stampava manifesti, periodici, libri scolastici e pubblicazioni di ogni genere ottenendo spesso anche notevoli commesse dai ministeri della capitale. Scendendo per la Via Ricciotti si incontrava la farmacia del dottor Gabrielli e poi, immettendosi in Via Garibaldi, si incontrava subito la sede della Banca d’Italia e, poi, il palazzo dei Conti De Matthaeis e la residenza del cardinale De Azevedo proprio all’angolo di Via S. Martino che conduceva al vicino Ospedale cittadino.
Lungo tutta la Via Garibaldi si aprivano numerose botteghe e cantine mentre il grosso delle attività artigianali era per lo più concentrato tra Piazza Garibaldi, dove tra l’altro si svolgeva il mercato del giovedì, e Via Giordano Bruno dove esercitavano falegnami, fabbri ferrai, stagnari, marmisti, calzolai e diversi cordai che fabbricavano le funi lungo i tornanti dell’Alberata. Risalendo per Via Marco Minghetti, dove si svolgeva il mercato del bestiame, si incontrava il cantiere del futuro Albergo Bellavista, che sarà inaugurato nel 1925, e dopo aver superato il Piazzale Vittorio Veneto ci si immetteva nella Via Nova, come all’epoca veniva chiamato dai frusinati l’attuale Corso della Repubblica, dove si incontrava subito il maestoso Palazzo Molella che ospitava gli uffici amministrativi della Società Laziale Elettrica che gestiva l’illuminazione pubblica e privata. Nell’attigua rotonda del “Giro dei cavalli” era sistemato un modesto e provvisorio monumento ai Caduti di Frosinone della prima guerra mondiale che verrà poi sostituito da una opera definitiva dello scultore Cesare Bazzani che sarà inaugurata il 24 febbraio 1924 dal re Vittorio Emanuele II. Sia il Palazzo Molella che il Monumenti ai Caduti saranno completamente distrutti dai bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Subito dopo si incontra la chiesetta S. Lucia sorta nel lontano 1860 che per molti anni si andò degradando per incuria delle autorità religiose tanto che più volte aveva corso il rischio di crollare. Nel 1904 il sindaco dell’epoca, G. B. Grappelli, intimò alla Curia di S. Benedetto, che ne era proprietaria, di ripararla o di demolirla. A fronte delle mancate risposte delle gerarchie ecclesiastiche il sindaco decise di acquisire la chiesetta al patrimonio comunale per restaurarla e restituirla al culto. I lavori, che potettero iniziare solo nel 1912 grazie ad una sottoscrizione cittadina, salvarono il tempietto definito dalla stampa dell’epoca una “riproduzione lillipuziana del Pantheon di Agrippa”. Ma la ricostruzione non venne però fatta a regola d’arte in quanto gli appaltatori dei lavori, avendo scambiato per un crollo della parte centrale della cupola quello che in origine era l’oculo a somiglianza del tempio romano, tapparono la volta semisferica facendola “rassomigliare a un serbatoio dell’acqua”,
Proprio di fronte alla chiesetta di S. Lucia nel 1911 era sorto il Palazzo Vona che, oltre ad ospitare negozi ed uffici, al piano terra vedeva la presenza di una sala cinematografica, il Cinema Vittoria di proprietà della stessa famiglia Vona, che riprese le proiezioni del Cinema Derna, dal nome della Cirenaica (Libia) occupata dagli italiani il 16 ottobre 1911, che era stato attivo negli stessi locali prima della guerra del 1915-18.
Subito dopo il Palazzo Vona iniziava la cosiddetta “Palazzata Berardi”, una fila di fabbricati lunga circa trecento metri costruita fra il 1871 e il 1874 su una striscia di terreno comunale fra la Via Vecchia e la Via Nova. Finanziò l’opera il costruttore ceccanese Filippo Berardi d’intesa con il Comune allo scopo di rispondere alle esigenze abitative dei numerosi impiegati e militari del Regno arrivati a Frosinone all’indomani del 1870 allorché la città entrò a far parte del Regno d’Italia. Al piano terra della Palazzata erano soprattutto negozi e uffici di ogni tipo. Al centro della stessa era il Politeama Excelsior, già Teatro Isabella, di proprietà della famiglia Berardi e gestito dalla Società ACIF dove, oltre alle proiezioni cinematografiche iniziate nel 1907, si tenevano spettacoli di vario genere, opere teatrali, concerti musicali, i veglioni di Capodanno e di Carnevale nonché riunioni e congressi dei partiti politici, delle organizzazioni sindacali e delle associazioni culturali e ricreative cittadine.
La Via Nova, ovvero il Corso Vittorio Emanuele, proseguiva poi superando la cosiddetta Curva Zallocco e il Ponte delle 19 arcate (oggi conosciuto come i Piloni) risalente alla prima metà dell’Ottocento per poi raggiungere il Borgo S. Antonio la cui chiesa, oggi sparita, segnava allora il termine dell’abitato cittadino.
Nel 1922 le scuole erano sparse nel centro storico: le elementari, in attesa del tanto sospirato edificio scolastico comunale, erano collocate nel Palazzo Vivoli, accanto alla chiesetta di S. Lucia, una Scuola complementare aveva la sua sede in Via S. Simeone mentre, proprio dal 1922, cominciò a funzionare in Via del Plebiscito un Istituto Tecnico intitolato a Norberto Turriziani. Sempre molto forte era la presenza a Frosinone di militari e forza pubblica: dal Deposito del 59° Fanteria presso la Caserma “C. Guglielmi” al vicino Distretto militare competente dei circondari di Frosinone, Sora e Velletri, alla Caserma dei Reali Carabinieri e al Commissariato di Pubblica sicurezza.
Per quanto riguardava i servizi alla popolazione, che già non brillavano nel centro storico, erano praticamente assenti nei quartieri in formazione dello Scalo, dell’Osteria De Matthaeis e della Madonna della Neve e, più in generale, in tutte le zone di campagna. In particolare, lo stato dell’illuminazione pubblica e privata fornita dalla Società Laziale di Elettricità era insufficiente già nella Frosinone alta e ancora quasi del tutto assente nelle campagne. Intanto per il servizio telefonico proprio nella seduta consiliare dell’8 febbraio del 1922 venne annunciato da parte del Sindaco che erano “pressoché ultimati i lavori per la rete urbana telefonica e presto sarà attivato il collegamento con lo Scalo ferroviario”. Nella stessa seduta il Sindaco annunciò che per “il servizio automobilistico tra Frosinone e lo Scalo ferroviario era stata stipulata una convenzione tra il Comune e le ditte Zeppieri Virgilio, Manni Ermete e Sodani Augusto a causa dell’insufficiente servizio delle Ferrovie Vicinali”.
Anche l’approvvigionamento dell’acqua potabile della città lasciava a desiderare a causa dei ripetuti blocchi della Macchina della Fontana di Via Mola Nuova e lo stato di abbandono delle stesse fontane pubbliche. Tutto ciò determinava una pessima condizione igienica di tutta la città per cui anche dopo la “spagnola” del 1918 periodicamente si affacciarono in città altri contagi ai quali l’Ospedale comunale, per le sue cattive condizioni, non poteva che improvvisare alcuni padiglioni in legno destinati agli infetti.
Sulle strade cittadine, che ancora non conoscevano l’asfalto ma solo in qualche caso il fondo selciato, predominava il “brecciolino” che comportava, però, polvere d’estate e fango d’inverno, cominciavano a circolare le ancora scarse automobili private che trovavano assistenza e rifornimento presso le ditte Zeppieri e Ferrante, entrambe in località Osteria De Matthaeis. Infine va ricordato che la gran parte dei cittadini di Frosinone era particolarmente angustiata dalla crisi degli alloggi, che si trascinerà, irrisolta, per decenni, per cui in quel 1922 era costretta a vivere in case per lo più fatiscenti, molte delle quali ancora segnate dal terremoto del 1915 e sprovviste di acqua corrente, riscaldamento e servizi igienici.
(Parte 3°) “La vita politica e amministrativa”
Con le critiche condizioni generali della città che abbiamo visto doveva misurarsi, sin dall’inizio del 1922, il Consiglio comunale che era ancora composto dagli stessi eletti il 24 ottobre del 1920 quando si era imposta, per soli sette voti sulla lista del Partito socialista, una coalizione di liberali, nazionalisti, fascisti e socialisti-riformisti che aveva preso il nome di “Comitato Elettorale Antibolscevico”.
In quell’occasione per la maggioranza erano stati eletti in venti: Francesco Antonio Alviti, Pietro Antonucci, Tullio Bommattei, Gaetano Cacciavillani, Giuseppe Carfagna, Domenico Ferrante, Agostino Gallina, Pietro Gizzi, Cipriano Iorio, Mario Marini, Salvatore Minotti, Pio Patrizi, Silverio Pizzutelli, Antonio Rea, Filippo Sordi, Giuseppe Spinetti, Luigi Valchera, Umberto Vittori, Edmondo Vivoli e Aristodemo Vona. Per l’opposizione gli eletti erano dieci socialisti: Vittorio Antonucci, Giovanni Bracaglia, Francesco Casali, Benedetto Ceccarelli, Ilio De Bernardis, Alessandro Francazi, Domenico Marzi, Antonio Minotti, Giuseppe Minotti e Arcangelo Silvestri. Alcuni di questi, dopo il 21 gennaio del 1921 avevano aderito al Partito comunista fondato in quella data.
Primo cittadino di Frosinone era ancora il liberale Pietro Gizzi alla guida di una Giunta solo parzialmente diversa rispetto a quella eletta il 28 novembre 1920. Di essa facevano parte, agli inizi dell’anno, gli assessori effettivi Agostino Gallina, Gaetano Cacciavillani, Edmondo Vivoli e Luigi Valchera e i supplenti Antonio Rea e Salvatore Minotti. La vita della Giunta “antibolscevica” che già non era stata tranquilla nel corso del 1921 per gli attacchi dell’opposizione socialista e i malumori presenti all’interno della stesse forze di maggioranza fu difficile, soprattutto, per il forte malcontento della popolazione sempre più esasperata per la cattiva gestione dei calmieri e, soprattutto, per l’iniqua applicazione della tassa del focatico da parte dell’Amministrazione “nazional-fascista” per la quale “i pescecani sono diventati povera gente e gli operai cresi”.
Fino a che il 31 ottobre del 1921, a seguito di ripetuti scontri tra i consiglieri della maggioranza sulla scelta del luogo dove costruire l’Edificio scolastico e per l’esplosione di uno scandalo edilizio che coinvolgeva direttamente il consigliere Pietro Antonucci, direttore delle Fornaci site presso il bivio di Ceccano, si era arrivati alle dimissioni del Sindaco e dell’intera Giunta comunale. Qualche settimana dopo, il 28 novembre, le dimissioni di Gizzi erano state respinte dal Consiglio comunale che elesse, nello stesso giorno, una nuova Giunta riconfermando quasi tutti gli assessori con la sola sostituzione di Cacciavillani con Francesco Antonio Alviti, mentre il socialista-riformista Luigi Valchera, preannunciò le sue dimissioni da assessore dichiarando di voler cessare ogni sua collaborazione con il “Comitato antibolscevico”.
Per tutto il 1922 l’attività del Consiglio comunale fu molto scarsa tanto che esso fu riunito in pochissime occasioni: l’8 e il 15 febbraio, il 6 maggio per la presentazione del “Bilancio preventivo pel biennio 1922-1923”, il 7 giugno per l’approvazione dello stesso con 16 voti favorevoli e i 7 voti contrari e il 19 dicembre quando si tenne l’ultima riunione con l’assenza dei consiglieri social-comunisti che da tempo, per protesta contro le continue minacce e violenze in città degli squadristi di Frosinone e dei centri vicini, non partecipavano più alle sedute consiliari. La stessa Giunta, composta sempre da Gizzi, Alviti, Gallina, Vivoli e Marini, nel corso di tutto il 1922 si riunì solo un paio di volte al mese e, sempre, con all’ordine del giorno provvedimenti di normalissima amministrazione così come, del resto, avveniva anche per il Consiglio comunale.
Intanto la situazione politica a livello nazionale vedeva, all’inizio del 1922, il socialista-riformista Ivanoe Bonomi ancora a capo del governo formatosi all’indomani delle elezioni del 15 maggio 1921 con la partecipazione delle forze conservatrici e moderate dello schieramento politico (liberali, nazionalisti, socialisti-riformisti e popolari) con all’opposizione i socialisti, i comunisti e i fascisti. Nei primi giorni di febbraio del ‘22 Bonomi fu però costretto a dimettersi avendo perso l’appoggio della maggior parte dei liberali e il 25 dello stesso mese assunse la presidenza del Consiglio dei ministri Luigi Facta che, anche se con molte difficoltà, restò alla guida del governo fino all’ottobre dello stesso anno.
In tutta Italia nel corso di tutto il 1922, così come era avvenuto in particolare nel secondo semestre del 1921, il fascismo aveva scatenato lo squadrismo indirizzandone la violenza soprattutto contro comunisti, socialisti, capi delle leghe contadine e dei sindacati assalendo ripetutamente le Case del popolo, le Camere del lavoro e le Amministrazioni comunali guidate dalle forze della sinistra.
A Frosinone dove un fascio di combattimento era stato fondato nell’ottobre del 1920 si era intanto organizzata al proprio interno una squadra d’azione intitolata a Guglielmo Veroli dal nome di uno squadrista ucciso a Tivoli il 22 aprile del 1922 durante uno scontro con un gruppo di antifascisti locali che da tempo aveva cominciato a percorrere le strade della città e a raggiungere i centri vicini del circondario scagliandosi con violenza contro gli avversari politici.
In questo contesto, per tutto il 1922, l’attività dei i partiti cittadini era assorbita soprattutto dalle vicende amministrative del Consiglio comunale della cui maggioranza facevano parte, come abbiamo visto, il Partito liberale che, oltre al sindaco e al più forte gruppo consiliare, esprimeva sin dalle elezioni politiche del 1909 l’unico deputato eletto nel collegio elettorale di Frosinone, l’avvocato Angelo Carboni. Venivano subito dopo il Partito nazionalista e quello fascista che praticamente avevano costituito un gruppo unico tanto che, poi, agli inizi del 1923, si unificheranno dando vita anche a Frosinone al Partito nazionale-fascista. Per poco più di un anno partecipò al governo cittadino anche il Partito socialista-riformista per uscirne alla fine del 1922. Oltre al Partito socialista che aveva eletto, come abbiamo visto dieci consiglieri, due altre forze politiche avevano presentato le loro liste per elezioni amministrative del 1920, i popolari e i repubblicani, che però avendo deciso alla vigilia del voto di riversare i propri voti rispettivamente al “Blocco antibolscevico” e al Partito socialista non avendo riportato alcun eletto in consiglio scomparirono così dalla vita politica e amministrativa cittadina.
Ad opporsi al blocco del “Comitato antibolscevico” in Consiglio comunale e alle azioni delle squadre fasciste nella città erano quindi rimasti solo i partiti della sinistra assieme alle organizzazioni sindacali degli operai e dei contadini. Innanzitutto il Partito socialista guidato dall’avvocato Domenico Marzi, che era fondato a Frosinone nel 1905 su iniziativa dei redattori del giornale cittadino “Il Popolano”, e il Partito comunista, nato in città nel gennaio del 1921 per opera soprattutto dei giovani dell’ex circolo socialista che avevano aderito quasi tutti al nuovo partito, erano ancora in grado di svolgere appieno le loro iniziative in particolare rivolte al mondo del lavoro e alla solidarietà internazionalista.
L’8 gennaio del 1922, per esempio, il P.S.I. aveva organizzato un convegno dei cantonieri provinciali di tutto il circondario di Frosinone, presieduto da Domenico Marzi, che si tenne nei locali della Camera del lavoro. Il 24 gennaio fu la volta di un convegno dei lavoratori della terra di tutta la Ciociaria con all’ordine del giorno la riorganizzazione del movimento contadino nel circondario. Alla fine di gennaio alcuni delegati di Frosinone parteciparono al Congresso della Federazione socialista laziale per discutere sullo stato del Partito e della reazione fascista e padronale nei confronti del movimento contadino. Il 5 aprile si tenne, sempre a Frosinone, una conferenza socialista al cinema Vittoria “stipato di gente” con il dirigente regionale Epifanio Antoci, che parlò sul tema “Origini della lotta di classe e della civiltà”. Il 20 giugno, infine, una forte delegazione della Sezione socialista di Frosinone, guidata da Domenico Marzi, partecipò alla formazione della frazione massimalista laziale alla vigilia del XIX Congresso nazionale del PSI.
Una certa attività riuscirono a svolgere anche gli aderenti locali al Partito comunista alcuni dei quali parteciparono a Roma, il 5 febbraio del 1922, al 2° Congresso provinciale del Partito e, sempre a Roma, il 26 dello stesso mese, al Congresso giovanile comunista del Lazio mentre i militanti Napoleone Scaccia e Giuseppe Minotti si fecero più volte promotori in città della raccolta di fondi per la stampa comunista (“L’Ordine Nuovo” di Torino diretto da Gramsci e “Il Comunista” di Roma diretto da Togliatti). Socialisti e i comunisti, malgrado le provocazioni delle squadre fasciste, riuscirono a festeggiare insieme il 1° maggio del 1922 con manifestazioni in molti centri del circondario tra i quali Anagni, Ceprano e Piperno (oggi Priverno) e, in particolare, a Frosinone dove dopo un comizio nella sede della Camera del lavoro in Via del Plebiscito si tenne, nel pomeriggio, il tradizionale corteo alla Madonna della Neve.
(Parte 4°) “15 ottobre 1922: ‘La grande adunata’ del fascismo ciociaro”
Nel circondario di Frosinone, ai primi fasci di combattimento fondati nell’ottobre del 1920 a Frosinone e Fiuggi si erano aggiunti, nel corso del 1921 e del 1922, quelli di Acuto, Alatri, Anagni, Ceccano, Ceprano, Collepardo, Ferentino, Filettino, Giuliano di Roma, Guarcino, Morolo, Paliano, Patrica, Pofi, Sgurgola, Trevi nel Lazio, Villa S. Stefano e Veroli. Tutti entrarono a far parte della Federazione laziale fascista che era stata costituita il 31 luglio 1921 e che, nel corso del 1922, aveva preso il nome di “Federazione laziale-sabina” per la confluenza delle sezioni del reatino che si erano staccate dalla Federazione umbro-sabina. Il primo segretario politico del Lazio fu il romano Gino Calza-Bini mentre Amedeo Ambrosi di Fiuggi e il frusinate Emilio De Bernardis entrarono nel primo Direttorio regionale in rappresentanza del circondario di Frosinone.
Quasi tutti i fasci del frusinate avevano organizzato al proprio interno le cosiddette “squadre d’azione” che, sin dalla campagna elettorale per il voto del 15 maggio 1921, avevano cominciato a percorrere le campagne e i centri abitati di tutto il circondario scagliandosi con violenza contro gli avversari politici. L’attività degli squadristi della “Guglielmo Veroli” a Frosinone venne riportata solo parzialmente dalle carte di polizia e dai giornali dell’epoca ma, ora, è stata possibile ricostruirla grazie al recente ritrovamento di alcuni documenti risalenti al 1939-40 che facevano parte dell’archivio della Federazione fascista di Frosinone.
In quelle carte appaiono diversi elenchi nominativi di cui il primo, datato 28 febbraio 1939, riporta le generalità di 51 fascisti di Frosinone ai quali “è stata riconosciuta la qualità di squadristi”. Il secondo, con data 18 marzo dello stesso anno, era stato stilato “in seguito ad ulteriori accertamenti” per apportare otto variazioni al precedente elenco. Il terzo, con 72 nominativi, che è datato 12 maggio 1939, riporta semplicemente la scritta “Elenco definitivo degli squadristi”. L’attendibilità di questi elenchi di supposti appartenenti alla squadra frusinate attiva quasi venti anni prima dovette però suscitare più di qualche perplessità fra i dirigenti centrali del Partito. Infatti il vicesegretario del Direttorio nazionale del P.N.F., Cerrati, con una sua comunicazione in data 11 novembre 1939, prot. n. 41500, sollecitò la Federazione fascista ciociara “a riesaminare le posizioni dei nominativi compresi nell’elenco avendo constatato come una parte delle relative proposte partite a suo tempo dalla locale Federazione fascista, presentino il difetto di una deficiente istruttoria”.
Per l’incombenza i dirigenti della Federazione affidarono a un’apposita commissione, composta dagli ex squadristi Giulio Celletti, Armando Mazzocchi, Antonio Chiappini, Cesare Renna, Claudio Ferrari, Mario Calderari, Gino Sordi e Ilio Vona, il lavoro di raccolta di documenti e testimonianze per procedere alla revisione dei nominativi per poi far pervenire alla Direttorio nazionale del Partito un quarto elenco, presumibilmente definitivo, dei componenti della squadra d’azione di Frosinone effettivamente operanti a suo tempo. Allegata all’elenco, all’inizio del 1940, la Commissione trasmetteva alla segreteria nazionale del Partito fascista la seguente dichiarazione: “Il Fascio e la squadra d’azione di Frosinone costituirono durante il periodo ante-Marcia uno dei capisaldi della forza fascista del Basso Lazio per la sua prontezza e combattività e per l’infaticabile e disinteressato lavoro del suo Comandante Magliocchetti Pasquale e dei fascisti Mancia Carlo, Vona Aristodemo e Chiappini Antonio.
Ma ancora all’inizio dell’estate del 1922 le condizioni delle organizzazioni fasciste a Frosinone e nel circondario continuavano a non essere soddisfacenti per la Federazione romana che da tempo aveva riscontrato come tutti i fasci locali stentassero a costituirsi in movimento politico essendo rimasti allo stato di piccoli gruppi di attivisti mobilitati dagli agrari e dai possidenti locali in occasione delle agitazioni contadine e al servizio dei candidati conservatori nelle scadenze elettorali. Per tentare di ovviare a questa situazione, nell’agosto del ’22, il Fascio ciociaro venne elevato a sub-federazione dalla Federazione romana e fu inviato a Frosinone il vice-segretario del Lazio Alberto Ghislanzoni con il compito di riorganizzarne le fila.
Lo stesso Ghislanzoni così descriveva su “Squadrismo”, una pubblicazione rievocativa stampata nel 1940 dalla Federazione fascista di Frosinone, la situazione politica locale e le condizioni organizzative del movimento fascista al momento del suo arrivo a Frosinone: “La Ciociaria viveva allora in una situazione spaventosamente arretrata dal punto di vista culturale, tecnico e sociale. La vita politica era ristretta e irretita in mano a pochi furbacchioni e speculatori aggiogati al carro delle democrazie. Il socialismo e il comunismo avevano fatto non piccola breccia tra le categorie operaie e rurali e avevano formato grosse leghe che si erano impossessate di varie amministrazioni comunali. “Nel complesso il fatto politico - scriveva ancora Ghislanzoni con chiaro riferimento agli esponenti locali del suo movimento - non era sentito nella sua profonda essenza, nella sua radice spirituale e ideale, sicché fu assai ardua impresa quella di far penetrare nelle coscienze, di diffondere un senso nobile e disinteressato, che, al di sopra e al di fuori dei piccoli appetiti, delle meschine ambizioni paesane, elevasse le direttive e l’azione verso mete nazionali”. Ghislanzoni, in conclusione, volle rammentare ai suoi lettori “il lavoro ininterrotto, assiduo, tenace per procedere all’organizzazione totalitaria e alla propaganda fascista in Ciociaria, per trasformare in esercito di proseliti quello che non era all’inizio che un gioco di ragazzi”.
Ghislanzoni procedette per tutto l’estate del 1922 “al controllo e all’inquadramento di tutti i fascisti di Frosinone e di tutto il circondario in squadre d’azione che tempestivamente, senza risparmio, corsero e furono presenti ovunque le necessità lo esigevano”. Le violenze dei fasci e delle squadre d’azione in tutta la provincia di Roma si moltiplicarono in quei mesi e la drammaticità della situazione venne denunciata, tra l’altro, dalla stampa socialista. “L’azione di fascisti nel Lazio - scriveva l’”Avanti!“ l’11 ottobre - va intensificandosi ogni giorno, numerose spedizioni sono state compiute in questi giorni in alcuni paesi retti da amministrazioni socialiste allo scopo di ottenere le dimissioni. Ma le violenze non si sono limitate a questo”.
Verso la fine dell’estate Ghislanzoni decise di programmare una grande dimostrazione di forza per mostrare il miglioramento politico e organizzativo raggiunto dal suo movimento, convocando a Frosinone un’adunata di tutti i fasci ciociari per il 15 ottobre del 1922. Due fonogrammi della Questura partirono da Frosinone per informare il Ministero degli Interni della mobilitazione dei fascisti ciociari: “Per domenica 15 corr. - era scritto nel primo dispaccio del 12 ottobre - concentramento fascista a Frosinone di circa 3.000 persone che in ultimo dovrebbero distruggere quella Cooperativa”. Il secondo, spedito il giorno dopo, dava qualche informazione in più: “Domenica convegno fascisti Circondario di Frosinone. Interverranno 1.000 persone. Con l’on. Dudan, Calza-Bini e Igliori del Direttorio laziale. Si terrà riunione quel teatro per discutere circa azione fascista. Presenti rinforzi 100 carabinieri e 40 militari di truppa”. Con un terzo fonogramma si informava il Ministero che “E’ stato riferito che gli elmetti dei quali in questi giorni si sono provvisti gli squadristi del fascio di Frosinone sono stati consegnati dal Comando del Distretto di quella città”.
Nella mattina del 15 ottobre, dopo il previsto corteo lungo il Corso Vittorio Emanuele, i quasi mille fascisti arrivati a Frosinone dai vari centri del circondario si radunarono in Piazza della Libertà per ascoltare l’oratore ufficiale della manifestazione Giuseppe Bottai che non mancò di fare riferimento a quanto andava maturando nel quadro politico nazionale ormai a pochi giorni dalla grande mobilitazione delle forze fasciste a Napoli prevista per il 24 ottobre. Nei giorni successivi il giornale di Antonio Gramsci, “L’Ordine Nuovo”, denunciava in prima pagina, a questo proposito, le dichiarazioni dell’on. Bottai fatte a Frosinone: “Siamo attrezzati per l’insurrezione, siamo pronti all’elezioni. L’una e l’altra strada portano a Roma. Comunque Roma ci attende”. Al termine del comizio di Bottai, i fascisti dettero vita per tutta la giornata a provocazioni e aggressioni in tutta la città dando, tra l’altro, l’assalto più volte alla Camera del lavoro così come, del resto, era stato preannunciato dalla Questura con il fonogramma del 12 ottobre.
La stessa Questura di Frosinone così relazionò sugli avvenimenti della giornata al Ministero degli interni la sera stessa del 15 ottobre: “Oggi ha avuto luogo adunata fascista con intervento di 1.000 congressisti del Circondario con numerosi gagliardetti e musiche. Riunione in teatro e corona alla lapide del milite ignoto. Presenti Igliori e Bottai. Squadre fasciste sono ripartite lasciando colà 50 rappresentanti; i fascisti tentarono assaltare Camera del lavoro ma respinti forza pubblica. Verso le 18 fascisti di Fiuggi mentre nel treno speciale Ferrovie Vicinali ritornavano loro residenze giunti nei pressi stazione Madonna della Neve furono fatti segno a dileggi seguiti da sassate e un colpo di rivoltella da parte di un gruppo di 7 comunisti. Fatto fermare il treno, i fascisti rincorsero aggressori raggiungendone tre che sono rimasti feriti lievemente con colpi di bastone e arma bianca. Identificati gli autori dell’aggressione furono arrestati. Passaggio degli arrestati per questa piazza ha dato luogo a qualche tafferuglio”.
Nella stessa serata la Camera del Lavoro fu assaltata nuovamente e devastata dagli squadristi rimasti a Frosinone mentre alcuni di loro irruppero nella vicina abitazione dell’on. Domenico Marzi che venne minacciato di morte assieme ai suoi familiari se non avesse lasciato la città entro 48 ore. Sulle minacce a Domenico Marzi il deputato socialista di Terracina, Carlo De Angelis, presentò in Parlamento un’interrogazione urgente denunciando il ruolo avuto dai Reali Carabinieri di Frosinone in quanto gli risultava che erano stati anche alcuni di loro ad intimare all’avvocato Marzi di lasciare al più presto la sua residenza. Il Ministro, il 20 ottobre, replicherà all’interrogante che il sottoprefetto di Frosinone, Antonio Galli, gli aveva assicurato che contro l’ex deputato Marzi non era stato emesso alcun bando e che nessun danneggiamento si era registrato alla sede della Camera del lavoro presidiata dalla forza pubblica.
Il successivo 24 ottobre il Sottoprefetto di Frosinone inviò una lettera al Ministro degli Interni con una descrizione più circostanziata ma ancora reticente: “Il Marzi - scriveva il Sottoprefetto - mi ha fatto lagnanza alcuna di minacce e diffide. In questi giorni si è recato al Municipio per conferire circa la riconsegna dei locali comunali, goduti gratuitamente dalla Camera del Lavoro. Effettivamente due fascisti si presentarono a lui dopo l’attentato al treno delle camicie nere di Fiuggi del 15 corrente affinché modificasse il suo atteggiamento. Il Marzi pensò che si volesse bandirlo ma i fascisti negano”.
(Parte 5°) “La Marcia su Roma si ferma a Valmontone”
Già dall’inizio del mese di ottobre del 1922 il governo nazionale guidato da Luigi Facta aveva mostrato tutta la sua debolezza mentre i capi dei vari partiti erano alla difficile ricerca di una soluzione della crisi con l’individuazione di un nuovo Presidente del consiglio. In quel contesto Mussolini, per far pesare la sua forza politica, convocò una grande adunata di tutte le organizzazioni fasciste d’Italia in occasione del Congresso nazionale del Partito previsto per il 24 ottobre a Napoli. Proprio in quell’occasione venne decisa la convocazione di una forte “manifestazione” da tenere nella capitale nel giro di pochi giorni. “O ci daranno il governo - gridò Mussolini ai congressisti - o lo prenderemo calando su Roma. Ormai si tratta di giorni e forse di ore”.
La minaccia di Mussolini portò Facta a dare le dimissioni il giorno 26: si aprirono così giornate di confuse trattative tra i vari partiti governativi mentre il futuro duce decideva la mobilitazione delle squadre d’azione in tutte le città per la mezzanotte del 27 e il concentramento, dalla mattina del 28 ottobre, di tre colonne di fascisti: a Tivoli al comando di Giuseppe Bottai, a Monterotondo con Ulisse Igliori e a Civitavecchia con Dino Perrone Compagni.
Solo una parte dei mobilitati riuscirà poi a raggiungere i luoghi previsti per il raduno perché il Prefetto e il Questore di Roma avevano dato ordini per l’interruzione delle linee ferroviarie che portavano a Roma e, anche, per le cattive condizioni delle strade a causa del forte maltempo che infuriava su tutto il Lazio. Così descriveva la situazione lo storico inglese Christopher Seton-Watson: “Tutti erano male armati e privi di vettovaglie, ricoveri e mezzi di trasporto e fortemente depressi da una pioggia torrenziale, mentre gli uomini politici trattavano, le colonne di camicie nere, inzuppate di pioggia e affamate, continuavano ad attendere ordini”.
La partecipazione alla “Marcia su Roma” dei fascisti del circondario di Frosinone è stata rievocata in alcune pagine della “Storia della rivoluzione fascista” di Giorgio Alberto Chiurco, pubblicata nel 1929, nelle quali era anche riprodotto, integralmente, il rapporto sul concentramento delle forze fasciste del basso Lazio a Valmontone da parte del maggiore Fermo Gatti, comandante delle squadre partite dal frusinate. “Le squadre – ha scritto il Chiurco - nella notte dal 27 al 28, parte in treno, parte in camions, parte a piedi, raggiungono Valmontone ove era stato ordinato il concentramento, onde sorvegliare le provenienze da Napoli e Roma, sulla Casilina e sulla ferrovia”.
In realtà nessun concentramento e permanenza erano previsti a Valmontone dove invece vigilavano, all’interno della stazione, un distaccamento del Genio ferrovieri e un certo numero dei Reali Carabinieri che bloccarono senza problemi la “marcia” dei fascisti del basso Lazio verso la capitale. Scriverà a questo proposito Antonino Repaci: “Non si rese necessaria l’interruzione perché i 1.500 fascisti giunti per ferrovia, in ottemperanza all’ordine del comandante, discesero volontariamente dal convoglio”.
Il maggiore Gatti, stabilito il suo comando di piazza a Valmontone, divise le forze a disposizione in quattro Coorti, ovvero la Coorte di Velletri al comando del ten. Marcello Reboani, la Coorte dei Castelli comandata dal tenente Pietro Sansovetti, la Coorte del Prenestino con il tenente Luigi Ballanti e, infine, la Coorte Ciociara posta in riserva alla diretta dipendenza del Comandante il tenente Raffaele De Sio, su quattro centurie al comando di Magliocchetti di Frosinone, Gigli di Anagni, De Carolis di Fiuggi e De Sio di Ceccano.
Il “Rapporto Gatti” passava poi a elencare i partecipanti all’operazione provenienti da Frosinone e da altri centri del circondario: “I Fasci mobilitati della Ciociaria, che con organizzazione oculatamente predisposta dal segretario sub-federale dott. Ghislanzoni nella notte del 27 parte in camions per la via di Frosinone-Fiuggi-Genazzano, parte per la linea ferroviaria Ceprano-Frosinone-Segni (Colleferro), si concentrano a Valmontone, mettendosi agli ordini del Comandante la piazza; servono come semplici Camicie nere, prodigandosi per la riuscita dell’azione, il cav. Luigi Tolomei, il cav. Antonio Del Monte, il cav. Bertone, il conte Antonelli, Petricca, Argentino, Vona, M. Ferrari, A. Turriziani”.
Il rapporto passava poi a descrivere alcuni aspetti dell’organizzazione militare dell’azione: “Le squadre nel riunirsi a Valmontone interrompono per quanto è possibile tutte le comunicazioni telefoniche e telegrafiche, occupano la Stazione ferroviaria e chiudono tutte le strade per garantirsi da ogni possibile sorpresa”. Il maggiore Gatti si soffermava poi, in particolare, sulle misure logistiche prese per sistemare i circa 4.000 uomini mobilitati nel settore: il Comando prese alloggio nel Palazzo Doria-Pamphili mentre la truppa trovò ricovero nei vasti granai della casa principesca. “A Valmontone il servizio viveri - era scritto ancora nel rapporto - viene organizzato con buoni di prelevamento nelle osterie, il servizio cassa con sovvenzioni del Comune e di notabilità locali, ecc.; l’ambiente completamente antifascista tenta in primo tempo l’ostruzionismo anche per i viveri, ma gli ordini severi operano un salutare cambiamento”.
I cittadini di Valmontone, nella stragrande maggioranza organizzati in una forte Lega contadina, erano effettivamente antifascisti ma non sempre i numerosi scontri che si verificarono in paese in quei giorni con i “marciatori” ebbero motivazioni ideologiche: in realtà, essi furono quasi sempre causati dalla strenua difesa dei contadini, anche a fucilate, dei loro pollai dalle incursioni dei fascisti sempre più affamati.
“Il collegamento con Tivoli - continuava il rapporto di Gatti - è fatto dal ten. Carlo Mancia che in automobile traversò in quei giorni più volte la zona abbastanza pericolosa e ostile”. In realtà il Mancia, all’epoca segretario del fascio di Frosinone, non si limitò a tenere i collegamenti con il comando di Tivoli ma anche per raggiungere Frosinone con la sua automobile per raccogliere fra i notabili e i possidenti locali denaro e viveri necessari al soggiorno a Valmontone delle Coorti fasciste sempre in attesa di muoversi verso Roma.
Le squadre agli ordini del maggiore Gatti trascorsero tutta la giornata del 28 ottobre, data che sarà ricordata per tutto il “ventennio” come il giorno della “rivoluzione fascista”, tra le cantine del palazzo Doria-Pamphili e le osterie di Valmontone alla ricerca di un riparo dal maltempo che continuava a infuriare.
Il mattino del 29, arrivata da Roma la notizia dell’incontro tra il Re Vittorio Emanuele III e Mussolini, il maggiore Fermo Gatti, volle lanciare dalla “piazza di Valmontone” il seguente proclama indirizzato agli “italiani della regione laziale”: “A Voi il saluto fervente delle balde Giovinezze fasciste accorse all’appello dei capi per l’ultima battaglia della più grande Italia! I Fascisti concentrati nei punti strategici si dimostrano degni figli dell’Antica Roma per l’ordine perfetto, la disciplina ferrea e lo spirito più puro di abnegazione e di sacrificio”.
La mattina del 30, quando Mussolini era già a Roma impegnato nella formazione del nuovo governo, fu permesso finalmente a tutte le colonne di dirigersi verso Roma dove arrivarono in parte a piedi e in parte su autocarri ma per lo più su treni speciali. Il giorno dopo, il 31 ottobre, le camicie nere sfilarono davanti al Quirinale, dove il Re si affacciò a salutarle. Anche i “marciatori” di Frosinone finalmente si erano mossi, via ferrovia, da Valmontone in direzione di Roma mentre molti altri, che non erano mai partiti da Frosinone per la “marcia”, presero il primo treno del mattino del 31 ottobre per arrivare nella capitale in tempo per la grande sfilata e, quindi, poter rivendicare le benemerenze del regime negli anni a venire.
Pochi giorni dopo la “Marcia su Roma” il Parlamento nazionale concesse al governo Mussolini i pieni poteri, per un anno, per “attuare le riforme fiscali e amministrative e per limitare le funzioni dello Stato”. Cosa s’intendesse per “riforme” e “limiti all’attività statale” fu reso subito evidente dai primi provvedimenti del Consiglio dei ministri. Si decise, infatti, la cessione della rete telefonica a condizioni favorevolissime ai privati, l’abolizione del monopolio statale delle Assicurazioni, la soppressione del blocco degli affitti e la riduzione del 16 per cento del personale delle Ferrovie dello Stato. Fu soppresso, poi, il Ministero del lavoro mentre vennero accantonati i progetti di legge per l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione e le misure per un fisco più giusto introdotte nel 1920 dal governo Giolitti e, infine, venne sciolta la Commissione d’inchiesta sui profitti di guerra, anch’essa introdotta da Giolitti due anni prima.
Uno dei primi punti del programma economico esposto da Mussolini era il perseguimento del pareggio di bilancio. Come si volesse raggiungere tale obiettivo fu chiaro quando nella prima riunione del Consiglio dei ministri, il 1° novembre, si incominciò a parlare del ritorno al privato di altri pubblici servizi e della privatizzazione delle Ferrovie dello Stato. Un’altra scelta indicativa, la nominatività dei titoli azionari, venne accolta con soddisfazione dagli ambienti finanziari e dalla Confindustria perché ogni “azione” da nominativa diventava “al portatore” e quindi al riparo da ogni controllo fiscale. Da parte sua anche la Confagricoltura gradì da subito le scelte del nuovo governo: innanzitutto per la nomina di un suo associato al Ministero dell’Agricoltura che, come primi atti, fece sospendere la facoltà data ai Prefetti di decretare la concessione delle terre incolte o abbandonate ai contadini e concedere l’aumento dei canoni d’affitto per i locatari dei fondi rustici.
Anche la Chiesa ebbe la sua parte di soddisfazioni dall’appena nato governo Mussolini: da subito riapparvero, su richiesta del Vaticano, i crocifissi nelle scuole e nei tribunali e, successivamente, venne ripristinato l’insegnamento obbligatorio della religione cattolica nelle scuole elementari che era stato abolito nel 1877, fu poi aumentata la congrua dei parroci e dei vescovi grazie al raddoppio del contributo statale e i preti mentre i seminaristi venivano esonerati dal servizio militare e nominati i cappellani militari.
Chi non aveva, invece, motivi di soddisfazione e di gratitudine nei confronti del governo erano i lavoratori che videro l’indice dei salari reali nell’industria, per esempio, scendere dell’11 per cento tra il 1921 e il 1924, come avvenne, per esempio, anche per i cartai di Guarcino, Ceprano e Anitrella. Così come nessuna riconoscenza per i nuovi governanti poteva essere espressa dai ferrovieri e dai postelegrafonici colpiti a più riprese da licenziamenti di carattere politico, da tutto il ceto impiegatizio, pubblico e privato, sempre alle prese con i continui aumenti del costo della vita e, infine, dai contadini che, oltre ad essere ancora oggetto della violenza squadrista e della repressione poliziesca, vedevano allontanarsi definitivamente tutte le conquiste contrattuali degli anni del “biennio rosso”.
A Frosinone intanto Il 19 dicembre si riuniva, per l’ultima seduta del 1922, il Consiglio comunale con la presenza di soli 16 consiglieri su 30. In apertura dei lavori il sindaco Gizzi fece verbalizzare la seguente dichiarazione relativamente alla nuova situazione politica italiana: “Da ultimo il Sindaco dice che quantunque la Giunta intende fare dell’Amministrazione con criteri paesani e di giustizia, non può non ricordare come siasi realizzato in questi ultimi mesi l’avvento al potere di un Governo dell’Italia di Vittorio Veneto e degli ex combattenti. Il nuovo Governo di Mussolini si è manifestato un governo di azione e di energia. Importanti sono già gli effetti prodotti all’estero come il Governo ha anche assunti impegni coraggiosi con l’interno. L’Italia che marciava verso la rovina guarda con fiducia a questo Governo; verso il quale esorta la popolazione di una onesta obbedienza”. (Segue)
(Parte 6° ed ultima) “La città commissariata (1923-1926)”
Il complesso degli avvenimenti del 1922 determineranno a Frosinone, negli anni immediatamente successivi, una lunga serie di effetti politici e amministrativi a cominciare da una profonda crisi all’interno dei partiti della maggioranza consiliare del cosiddetto “Blocco antibolscevico”.
Infatti, la mattina del 29 gennaio 1923 apparve, inaspettatamente, sui muri della città un manifesto a firma del sindaco Pietro Gizzi con il quale lo stesso annunciava la decisione di rassegnare le dimissioni dalla carica di primo cittadino. Così era scritto nel manifesto indirizzato “A tutti i cittadini di Frosinone”: “I nuovi eventi politici maturati anche nella nostra città, nonché particolari condizioni di famiglia mi impongono di rassegnare inesorabilmente le mie dimissioni da Sindaco”. Così proseguiva il manifesto: “Nel ringraziare dal profondo del cuore voi che mi onoraste della vostra benevolenza, e quei cortesi che hanno riconosciuto nella mia opera una nota di impulso e di attività, pur assai dolente non poter presiedere al completamento di varie opere nelle quali ho versato cure amorevoli, faccio voti per la sempre crescente prosperità del nostro amato Paese”.
Lo sconcerto in città fu enorme anche perché non venivano spiegati i motivi veri che avevano portato il Sindaco a quella decisione. Cominciarono a circolare nella città varie ipotesi fra le quali, la più plausibile, rimandava a quanto era successo a Frosinone il 15 ottobre dell’anno precedente in occasione della “grande adunata” del fascismo ciociaro. Quel giorno, come abbiamo visto, gli squadristi di Frosinone e di altri centri del circondario avevano assalito per ben due volte i locali di proprietà del Comune, detti di S. Francesco, che ospitavano la sede della Camera del Lavoro con l’assenso dell’Amministrazione municipale. Il secondo assalto di quella giornata, in particolare, aveva portato alla completa devastazione dei locali e l’accaduto aveva spinto il sindaco Gizzi ad inviare, pochi giorni dopo i fatti, un telegramma al Sottosegretario di Stato all’Interno in cui si lamentava per “la violenza inutile compiuta locale sezione fascista colla invasione locali di proprietà questo municipio adibiti a Coop. e Camera del Lavoro. Elevo tale protesta con l’amarezza di chi fervidamente secondato seguito movimento fascista come rigeneratore vita pubblica italiana”.
Negli stessi giorni partì da Frosinone un telegramma del locale Direttorio fascista, direttamente indirizzato a Mussolini, in cui si contestava l’iniziativa del primo cittadino che così affermava: “La protesta sindaco Frosinone non è coerente suo atteggiamento precedente. Atto compiuto sezione fascista risponde a disciplina e senso di responsabilità”. La questione dei locali comunali devastati era la causa reale, quindi, della profonda frattura fra l’avv. Gizzi e il fascio locale.
La decisione del sindaco Gizzi di dimettersi aveva preso di sorpresa anche i membri della stessa Giunta comunale che, per un immediato esame della situazione, si autoconvocarono il 1° del mese di febbraio. In quella riunione l’assessore Francesco Antonio Alviti, per l’occasione sindaco facente funzione, informò i suoi colleghi presenti Agostino Gallina, Edmondo Vivoli, Mario Marini e Salvatore Minotti che “con lettera del 29 gennaio u.s. il cav. Avv. Pietro Gizzi ha dichiarato di essere costretto a rassegnare le sue dimissioni dalla carica di Sindaco per condizioni personali e di famiglia; che in data 30 gennaio gli faceva tenere una risposta per persuaderlo a recedere dalle dimissioni.
Dopo un’ampia discussione gli assessori deliberarono di chiedere al Sindaco di intervenire ad una nuova riunione di Giunta fissata per il 3 febbraio per chiarire ai colleghi le reali ragioni della sua inaspettata determinazione. Nonostante il pressante invito Gizzi non si presentò alla riunione consiliare e il 7 febbraio la Giunta comunale si riunì nuovamente, presenti sempre gli assessori Alviti, Gallina, Vivoli, Marini e Minotti, per un esame della situazione venutasi a creare.
In quella occasione gli assessori Alviti, Gallina, Vivoli e Minotti, dopo aver dato atto che lo stesso Gizzi riconosceva “al Partito fascista il grande merito di aver salvato la nazione dalle mire dei senza Patria e dalla dissoluzione bolscevica”, dichiaravano essere però necessario rassegnare le loro dimissioni. Prendeva allora la parola l’assessore Marini per dissentire esplicitamente dalla forma e dalle considerazioni esposte dai suoi colleghi e per protesta abbandonava la seduta seguito da Minotti che si era detto d’accordo con la posizione espressa dal suo collega. Dall’intervento di Gallina si compresero ancora meglio le ragioni della decisione di Gizzi e dei suoi più stretti collaboratori: essi accettavano sì le finalità del Partito fascista ma dissentivano sul “metodo di lotta” di esso. Gallina aggiunse, infine, di “essere del parere che la politica deve esulare dalle Amministrazioni comunali; per essere fatta nei circoli e nelle sezioni di partito”. Alla fine vennero accettate le dimissioni di Alviti, Gallina, Vivoli e respinte quelle di Minotti; restarono quindi in carica solamente l’assessore effettivo Mario Marini e gli assessori supplenti Antonio Rea e Salvatore Minotti.
Nonostante il voto del Consiglio, Pietro Gizzi confermò ancora le sue dimissioni e la Giunta comunale il 1° marzo convocò il Consiglio comunale per l’8 marzo con all’ordine del giorno l’elezione del nuovo sindaco e di tre assessori effettivi in sostituzione dei dimissionari. A quella riunione si presentarono solamente Mario Marini e Pietro Antonucci. Seguirono altre tre convocazioni del Consiglio comunale, il 12, il 18 e il 24 febbraio, alle quali si presentò il solo Mario Marini. Nei giorni successivi anche i 16 consiglieri della maggioranza presentarono le loro dimissioni e, visto che da tempo i dieci eletti social-comunisti avevano lasciato il Consiglio, ne restarono in carica solamente quattro. Il Consiglio comunale venne quindi sciolto e Mario Marini guidò l’Amministrazione in attesa dell’arrivo del Commissario prefettizio nella persona, si augurava la stampa vicina al Governo nazionale, “di uno dei maggiori responsabili del Partito fascista della nostra regione”.
La impraticabilità di una qualsiasi soluzione positiva alla crisi amministrativa del Comune di Frosinone spinse la Prefettura di Roma a nominare, a partire dal 17 aprile, un suo funzionario, Ernesto Pellegrini, quale Regio commissario prefettizio della Città. Il provvedimento così venne annunciato da un periodico romano diffuso anche a Frosinone: “Il Commissario Prefettizio avv. Ernesto Pellegrini ha avuto la consegna degli uffici dal ff. di Sindaco sig. Mario Marini. Il Commissario ha rinunciato ad ogni indennità e ha promesso di affrontare la soluzione dei più importanti problemi cittadini: l’Edificio scolastico, l’assestamento dell’Istituto tecnico e l’inaugurazione del Monumento ai Caduti”. Pellegrini durante la sua permanenza a Frosinone, che cessò l’8 agosto del 1923, si interessò alla revisione del regolamento per le affissioni, allo sviluppo del servizio automobilistico fra la città e la Stazione ferroviaria e alla sistemazione di numerose strade cittadine.
Seguirono le due brevissime gestioni commissariali di Antonio Turriziani, già segretario comunale di Frosinone, che ricoprì la carica dal 21 agosto al 24 settembre 1923 e di Umberto Velli, funzionario della Sottoprefettura, che resse il Comune dal 28 settembre al 13 ottobre dello stesso anno.
Successivamente il 25 ottobre 1923 arrivò da Roma il funzionario prefettizio Raffaele Paladino, che restò a Frosinone fino al 14 febbraio 1924 affiancato, dal 30 gennaio, da Mario Marini come vice-commissario prefettizio. Durante i suoi cinque mesi di permanenza a Frosinone Paladino adottò provvedimenti per l’impianto di un Regio Istituto Tecnico nella città, elaborò un nuovo “Testo unico del Regolamento organico degli impiegati e salariati comunali”, estese la pubblica illuminazione nelle contrade Fornaci al di là della ferrovia Roma-Napoli mentre, con uno dei suoi primi provvedimenti, aveva decretato la privatizzazione dei 38 orinatoi cittadini fornendo a tutti i frusinati, dal 1° dicembre 1923, 10 biglietti gratis per le prime necessità. Ma sicuramente il lavoro più impegnativo per il commissario Paladino fu la complessa preparazione della visita del re Vittorio Emanuele III a Frosinone che ebbe luogo il 26 gennaio del 1924.
Il 22 febbraio del 1924 la Prefettura di Roma nominò Commissario prefettizio di Frosinone Alberto Ghislanzoni già noto ai frusinati per essere stato, dall’agosto del 1922 fino alla fine di quell’anno, segretario della sub-federazione fascista ciociara. Una nomina squisitamente politica quella di Ghislanzoni che si caratterizzò per il costante ricorso ai fondi comunali per liquidare le spese delle organizzazioni fasciste cittadine per il fitto delle sedi, per la liquidazione di fatture per indumenti e targhe, per i rimborsi a favore dello stesso Ghislanzoni per i suoi viaggi e le sue partecipazioni a manifestazioni a Roma e nei centri del frusinate, per l’ospitalità dei dirigenti fascisti della capitale per comizi e cerimonie a Frosinone ecc. Altre spese a carico del Comune furono deliberate da Ghislanzoni in occasione di ricorrenze nazionali, commemorazioni della “Marcia su Roma”, celebrazioni del 24 maggio e 4 novembre, per abbonamenti al “Popolo di Roma”, all’appena nato giornale fascista cittadino “Ciociaria Nuova”, per la confezione del labaro della 119a Legione della Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.) e delle divise per i “balilla”. Il 24 maggio del 1924, infine, Alberto Ghislanzoni decise il conferimento della cittadinanza onoraria frusinate a Benito Mussolini e, nella stessa data, deliberò un contributo in denaro alla Federazione tra gli Enti autarchici del Lazio e della Sabina. Sul piano amministrativo il commissario Ghislanzoni creò l’Ufficio tecnico comunale fornendolo di un regolamento e, il 26 agosto 1924, nominò l’ing. Edgardo Vivoli direttore dello stesso, istituì poi un servizio sanitario per Frosinone Scalo e per il territorio limitrofo, adottò un nuovo regolamento per la distribuzione dell’acqua potabile ai privati e per il servizio degli acquedotti comunali. Alberto Ghislanzoni lasciò il suo incarico il 3 marzo del 1925.
Il successivo 26 marzo tornò nuovamente al Comune, con l’incarico di Commissario prefettizio, Umberto Velli che aveva già svolto, come abbiamo visto, quella funzione per alcune settimane alla fine del 1923. Fra le sue deliberazioni più rilevanti si registrarono la costruzione di una pubblica scalinata per congiungere Via Garibaldi con Via del Muro Rotto, il voto per la trasformazione delle Reali Scuole complementari in RR. Istituti Tecnici Inferiori, il concorso del Comune alle spese per il raccordo Stazione S. Antonio - Carceri della linea Ferrovie Vicinali Frosinone-Fiuggi-Roma e l’impianto del Regio Istituto Tecnico a Frosinone. Il commissario Umberto Velli lasciò Frosinone il 25 settembre 1925.
Dal 15 ottobre 1925 all’11 settembre del 1926 ricoprì la carica di Commissario il funzionario prefettizio Steno Pelatti. Come Ghislanzoni anch’egli adottò decisioni di carattere politico a partire dall’obbligatorietà del “saluto romano”, in vigore dal 1° dicembre di quell’anno in tutte le Amministrazioni civili dello Stato con pesanti sanzioni disciplinari e sospensioni dello stipendio per i trasgressori. Pelatti decise, ancora, di dedicare il nuovo viale che conduceva al costruendo Edificio scolastico al “Salvatore dell’Italia” ma dopo che gli fu fatto notare dallo stesso Mussolini che risultava ancora in vita, ripiegò su “Viale Predappio”. Pelatti caricò sulle casse comunali anche un contributo di lire 5.000 alla Federazione fascista Laziale-sabina a rimborso delle spese per il “Te Deum” per lo scampato pericolo di Mussolini in un attentato e, poi, spese varie per il comando della 119a Legione della Milizia e la confezione delle divise per i “balilla”. All’inizio del 1926, poi, il commissario Pelatti fece elaborare un nuovo regolamento edilizio comunale e deliberò l’acquisto di una zona di terreno per la costruzione di un edificio scolastico a Frosinone Scalo, l’istituzione dell’Ufficio legale comunale affidandone la direzione all’avv. Guido Imperi, la nomina provvisoria del maestro Direttore della Banda concertistica comunale e un nuovo regolamento della stessa, l’acquisto del mezzanino del Palazzo Berardi, l’approvazione del progetto per la costruzione dell’edificio scolastico nella frazione di Frosinone Scalo, i lavori di consolidamento della Sede comunale, il concorso di Antonio Turriziani per l’istituzione di un Istituto tecnico intitolato a Norberto Turriziani, l’affitto dei locali per lo stesso Istituto in Via del Plebiscito, l’adesione al costituendo Consorzio per l’acquedotto di Capofiume, le nuove uniformi per le guardie municipali e per i musicanti della Banda concertistica.
Dal 6 ottobre del 1926 alla fine dello stesso anno tornò a ricoprire l’incarico di Commissario prefettizio Antonio Turriziani che già aveva svolto la stessa funzione, per un brevissimo periodo, nel 1923. Tra i principali provvedimenti adottati dal nuovo Commissario il lancio di una sottoscrizione del Comune dell’importo di 15.000 lire per il Prestito Nazionale del Littorio e la soppressione di tutte le fontanine sparse per la città a causa della scarsità di acqua potabile. Il 14 novembre Turriziani deliberò anche la nuova denominazione per il “Piazzale Vittorio Veneto”, sino ad allora chiamato “Sotto le Carceri” e per la “Piazza della Libertà” che diventò, dal 13 dicembre di quell’anno, “Piazza VI Dicembre”. L’ultimo provvedimento di Turriziani come Commissario prefettizio fu da lui adottato il 31 dicembre con lo storno dei fondi previsti in bilancio per le spese relative allo svolgimento delle consultazioni elettorali comunali. Infatti con le “leggi fascistissime”, emanate tra il 1925 e il 1926, erano state eliminate le cariche elettive per gli Enti locali (Comuni e Provincie). Alla luce di quelle leggi, che avviarono la trasformazione dello Stato liberale nel regime fascista, non restava da fare altro che “accantonare” quei fondi perché a Frosinone, come in tutta Italia, di elezioni democratiche non se ne sarebbe più parlato per circa venti anni!
(FINE)